4 Luglio 2003

4 Luglio 2003

Partire da se, voler gestire la propria vita e se stessi, essere fondamentalmente hacker.
Sì, voler essere gli unici padroni di se stessi, voler conoscere come funzionano le cose, è sicuramente un comportamento da hacker, ma probabilmente è molto di più, stavo pensando alla questione di genere e a come mi ci sono imbattuto per caso in questi giorni.
Un’amica faceva parte dell’organizzazione della presentazione di una rivista sul “divenire donna della politica” che si è svolta a roma venerdì 4 luglio 2003.
Sono andato, sinceramente posso dire di esserci andato più perchè c’era lei che perchè fossi interessato alla cosa, e anche dopo la presentazione sono rimasto piuttosto scettico su un sacco di cose, naturalmente in ogni cosa ci sono sviluppi in qualche modo interessanti ma sinceramente essendo un uomo avevo una relativa paura, forse più genetica che altro, di quello che si chiama femminismo.
Lo sò, può sembrare ridicolo, ma penso che sia una cosa persino comune tra gli uomini.
Penso che su tutto regni un alone di mistero, no, non mi sento naturalmente in grado di risolvere questa cosa, ma parlando con la stessa amica ho capito delle cose molto importanti, almeno per me, che mi hanno fatto cadere questa paura, che penso fosse essenzialmente paura di un “separatismo” sessuale che non comprendevo, paura quindi molto personale di perdere persone a cui tengo molto.
Forse è solo una questione di linguaggio, o di non sapersi spiegare, ma parlare come uomini o donne o anche come altre sessualità non biologicamente predeterminate è una delle parti che ci costituiscono come soggettività, io sono io dall’inizio alla fine, durante la creazione della realtà, e il genere è parte di me.
E’ banale e anche molto, ma è da qui che stò partendo.
Il genere non è il fondamento dell’essere umano, ma è una componente probabilmente imprescindibile, come poi ogni altro fattore genetico, come ogni frammento della vita personale di ognuno, e quindi non può essere evitato così, semplicemente perchè la società è stata quasi sempre nella nostra storia una società dominata dai maschi.
Non rinnego il mio essere maschio, anzi, forse lo stò capendo meglio proprio in questo modo.
E qui però che il discorso si fa più interessante.
Mitologie di guerra, cosa hanno a che fare con questo discorso ?
Adesso stà tutto diventando parte della speculazione semplice semplice che faccio in questi casi 🙂
Rivoluzione, è quello che voglio da tanto tempo, ma il termine rivoluzione ricorda troppo guerre e sangue, cose che, aldilà dell’animale che ogni tanto riesce a pulsare anche dentro le mie vene, non amo particolarmente, eppure qualcosa ho sempre pensato che si debba fare.
La mia idea è da tempo la rivoluzione antropologica, fatta non solo attraverso l’essere umano ma di dentro ad esso, una rivoluzione che sicuramente deve passare attraverso tutto e tutti per essere funzionante.
La cosa più importante per me rimane la soggettività, l’unico motore della realtà, ma la soggettività è schiacciata da un sistema di controllo dalla forza terrificante che mostra raramente breccie.
Per il rafforzamento della soggettività è importante, se non fondamentale, partire da se, ma farlo realmente e non solo retoricamente, e questo forse è un debito che avrò sempre con il pensiero femminista con cui sono entrato in contatto.
Ma scusate, non abbiamo sempre detto che il controllo, pur se differenziato e molecolare per poter essere efficace, ha nel linguaggio una delle armi più potenti proprio perchè il linguaggio permette di plasmare le idee ?
E le donne non sono forse uno dei soggetti che la società tenta di indebolire di più attraverso proprio il linguaggio ?
Il maschile come genere nobile, ma se fosse così semplice allora basterebbe davvero mettere degli asterischi in fine delle parole per fare una rivoluzione (e con questo non dico che il maschile nobile non sia un problema).
Perchè un uomo è stronzo mentre una donna è puttana ?
Questa è pure una questione di linguaggio, l’insulto che rivolgiamo alla donna senza un gran peso e una gran riflessione è piuttosto strano, perchè non stronza o idiota, perchè proprio “puttana” ?
Naturalmente in questo modo contribuiamo a creare un certo tipo di realtà e non un’altra, coscientemente o meno.
E il discorso è persino troppo facile, o sembra esserlo.
Sempre immettiamo nel linguaggio di genere uno schiacciamento sessuale della donna, e per renderci conto di quello che stiamo facendo sarebbe meglio porsi la domanda se è la realtà a creare il linguaggio o piuttosto il contrario.
Oppure la risposta è in un rapporto circolare tra realtà e linguaggio.
Impegnare se stessi nella creazione di libertà è una bella cosa, al momento è quello che considero una strada, ma realmente che cosa significa ?
Sinceramente non mi è possibile darmi una risposta, credo che ci sia bisogno di mettere in comunicazione le più diverse esperienze, ma non credo basti.
Finchè rimane attivo un sistema di controllo a livello soggettivo, effettuato sia dai controllori sistemici che da quelli pilotati (tra cui noi stessi e gli altri), è difficile potersi dedicare alla creazione attiva di realtà, perchè naturalmente se ci si potesse ad un tratto sottrarre dal controllo ed esserne esenti allora dei soggetti potrebbero creare una comunità e una realtà dove questi problemi sarebbero superati.
Con questo non stò dicendo che il controllo non sia abbattibile, stò semplicemente dicendo che non mi sento di proporre soluzioni al dilemma (forse più mio che altro, ma naturalmente sono io che stò scrivendo adesso).
Qui mi vengono dei dubbi, impegnarsi comunque anche all’interno del controllo oppure prendere atto di una impossibilità di azione libera.
Direi che io stò prendendo atto dell’impossibilità di una libera azione, ma non in senso di abbandono.
Ecco, direi che il momento è proprio adatto, voglio prendere atto dell’impossibilità alla libera azione (e quindi al libero pensiero) come un samurai prende atto della morte e su di essa medita.
E’ un samurai morto solo perchè medita sulla morte e prende atto di essa come inevitabile ?
Penso proprio di no.
E allo stesso modo il mio prendere atto e meditare su questa cosa non mi porta per natura ad esserne parte (non sò se mi sono spiegato, forse l’esempio del samurai rende molto meglio).
Una rivoluzione è un atto creativo e di taglio, non può naturalmente svilupparsi all’interno di qualcos’altro, anche se un’incubazione è necessaria.
Impegnarsi per vivere meglio una realtà non può cambiare la realtà stessa, perchè se si gioca su un campo, per quanto si giochi bene, è su quel campo che si stà giocando e non lo si può cambiare con il gioco.
Anche qui prendersi troppo sul serio può far male, anche se uscire dal labirinto del prendersi o meno sul serio non mi sembra un’ipotesi praticabile.
Altro giro, altra corsa, i piccoli passi o il grande salto ?
Certo che assimilare un discorso ad un altro è una mossa molto poco furba, perchè concluso uno si concludono tutti.
Penso che analizzare la realtà per quello che è, cioè per il suo essere combinazione di altre realtà, sia una buona cosa e insegni anche, in un qualche modo, che ci sono alleati nei posti più impensabili, proprio come in quegli stessi luoghi possono esserci (e ci sono) nemici.
Andare oltre (ma senza lasciarsi qualcosa alle spalle), questo è quanto.

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