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Vacanze settembrine

Vacanze settembrine

Paesi Baschi

Mangiamo dei pintxos sotto una sede della “Chiesa di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni”, fatto che non credo sia poi così interessante, se non fosse per la coincidenza che sto leggendo delle cose sui mormoni in questo periodo. Sarebbe meglio dire che sto leggendo un libro (al singolare) sui mormoni in questo periodo. Magari ne scrivo da qualche parte.

Stando qui mi sono appena ricordato del passato, del vino bianco sparato direttamente nella gola anni fa, a Parigi, e, non che le cose siano minimamente collegate, del bambino che mi ha preso a pugni nello stomaco l’altro ieri in un museo. Potrei dare molti consigli ai genitori su come educare i propri figli alla vita in pubblico, dopotutto sono una persona che spare sentenze come se piovesse. E con questo ho citato il Teseo due volte in una sola frase, anche se pochi capiranno.

Da quando sono arrivato nei Paesi Baschi, dal confine, continua a tornarmi in mente una canzone della Banda Bassotti che non so quanto politicamente corretto sia cantare, o anche ascoltare, qui nei Paesi Baschi. E non è che io sia un esperto della questione basca, è semplicemente un altro dei tanti ricordi che mi affollano la mente, tutto qui. Viaggiare mi ricorda sempre qualcosa.

Ci sono cospirazionisti ovunque di questi tempi, a Bilbao abbiamo visto una interessante manifestazione davanti al teatro, e slogan più o meno divertenti sulle panchine. Le persone comunque portano la mascherina sui mezzi di trasporto, eccetto per un paio di inglesi sull’ultimo treno del primo giorno.

Una differenza che mi è parso di notare tra Bilboko e Donostia, è il maggior utilizzo del basco come lingua a Donostia piuttosto che a Bilbao. Ovviamente il nostro contatto coi locali è minimo, nelle zone che stiamo frequentando ci sono più turisti che altro. Però mi pare di notare questa differenza, come se Bilbao fosse una tra le tante grandi città spagnole, e Donostia (San Sebastian) fosse una città basca piena di turisti, tra cui tanti turisti spagnoli.

Il cibo a Donostia, o San Sebastian, o chiamatela come volete, è ottimo, le spiagge molto belle. Forse, è una città costruita per turisti facoltosi, come qualcuno ci ha detto qui, ma è certamente un bel posto. Avrei volentieri fatto il bagno tra queste onde, se fosse stato più caldo.

Picos de Europa

Il mio rapporto con le strade spagnole, alla guida, è piuttosto ambivalente. Ottime strade nel complesso, anche se inizialmente ho “leggermente”, o tantissimo, odiato il fatto che le corsie in autostrada possano improvvisamente trasformarsi in uscite, e considerato il traffico attorno a Bilbao non è piacevole essere costretti a cambiare corsia per non finire altrove, all’ultimo momento, con macchine a destra e a sinistra. Dire che la mia signora non adori essere in macchina con me alla guida è un eufemismo.

Abbiamo anche dato un passaggio a due teutonici autostoppisti, una coppia, qui in montagna. Oltre alle mutevoli corsie, tanti animali morti in autostrada, soprattutto rapaci. Come ci siano finiti a terra, in autostrada, non saprei. Comunque Fuente Dé è molto bella, e leggendo proprio l’altra sera ho anche scoperto che il “Che” si considerava a suo modo un alpinista. Piccole cose che mi fanno sorridere.

I Picos de Europa sono piuttosto selvaggi, anche se facilmente raggiungibili. Pochi cartelli, pochi segni, sentieri che scompaiono nella polvere, qualche omino di pietra di pochi centimetri, verticalità a picco su precipizi strapiombanti, rifugi che sembrano bivacchi di emergenza. Abbiamo fatto un giro sul massiccio centrale, ma nessuna cima, troppo vento. Seguire tracce e sentieri qui non serve, devi farti strada da solo, o leggere i resoconti di via per sapere dove passare. Uno stile diverso, un posto dove è ancora possibile perdersi.

Onestamente l’albergo dove dormiamo mi fa sentire un po’ (molto) capitalista, ma continuo a godermelo. Sarebbe difficile non godersi una vista del genere.

Lourdes

Il treno verso Lourdes ha un certo carico di casi umani, ma non quelli che ci si aspetta. Per la prima volta, almeno da terra, vedo i Pirenei, e mi godo un inspiegabile mal di testa. Ma va bene così.

Lourdes è tutto quello che ti aspetti, o forse no se non hai idea di che posto sia. Estremamente “trash”, con locali a tema sacro e negozi di souvenir. Ristoranti, candele votive, acqua sacra. In realtà l’acqua al santuario è gratis, sono le bottiglie che si pagano. Nel caso qualcuno fosse interessato.

Il santuario non è bellissimo, ma molto ben organizzato, definitivamente più triste del resto della cittadina, pieno di gente in cerca di speranza, soprattutto anziani e malati. Ma ci sono anche tanti giovani pellegrini, decisamente più allegri. La mia compagna di viaggio era un po’ spaventata da questo rave a tema religioso, molto cattolico, ma alla fine si è rilassata ed ha anche bevuto l’acqua santa. Io ho evitato anche di toccarla quell’acqua, non si sa mai.

I Pirenei sono molto verdi, almeno qui sul versante francese, e molto interessanti. Ci vorrebbe un altro viaggio per capire meglio la zona, ma le possibilità per camminare sembrano notevoli. Dovendomi però lamentare di qualcosa, non sono molto contento della propensione al fumo tra la gente del posto. C’erano molti fumatori anche in Spagna, ma qui la loro presenza mi sembra ancora più marcata. È vero che non si fuma all’interno, ma è estate e tutti mangiano all’aperto, fumando a votamazza una sigaretta dopo l’altra. Fuori dai treni, dentro i treni, ma in questo caso è intervenuto il controllore. Magari è sempre stato così e semplicemente non sono più abituato al fumo passivo. Le sigarette elettroniche sono anche peggio, magari sono meno tossiche, non saprei, ma producono una quantità di fumo, ed odori, che non si abbinano bene ai miei pasti.

Bruxelles

Nei confronti di Bruxelles sono ambivalente, oggi come ieri, come sempre. Mi piace e mi spaventa, un po’ come Parigi, ma forse l’apprezzo maggiormente essendo più piccola. La trovo anche verde, con grandi parchi connessi con la periferia. Comunque sono di nuovo a casa, e penso che le vacanze mi facciano bene. Tutti mi dicono che sono di umore migliore in vacanza, e non dubito che sia vero.

Ancora Gramsci

Ancora Gramsci

Un altro “aforisma” interessante.

Quando discuti con un avversario, prova a metterti nei suoi panni. Lo comprenderai meglio e forse finirai con l’accorgerti che ha un po’, o molto, di ragione. Ho seguito per qualche tempo questo consiglio dei saggi. Ma i panni dei miei avversari erano così sudici che ho concluso: è meglio essere ingiusto qualche volta che provare di nuovo questo schifo che fa svenire.

Antonio Gramsci – 11 febbraio 1917
Covid e Gramsci

Covid e Gramsci

In questi giorni, sotto nevicate costanti e con la compagnia del virus, leggevo una piccola antologia di scritti di Gramsci. Il passaggio che riporto, a proposito di intransigenza e tolleranza, mi ha fatto particolarmente piacere.

Naturalmente questa tolleranza – metodo delle discussioni fra uomini che fondamentalmente sono d’accordo, e devono trovare le coerenze tra i principi comuni e l’azione che dovranno svolgere in comune – non ha a che vedere con la tolleranza, intesa volgarmente. Nessuna tolleranza per l’errore, per lo sproposito. Quando si è convinti che uno è in errore – ed egli sfugge alla discussione, si rifiuta di discutere e di provare, sostenendo che tutti hanno il diritto di pensare come vogliono – non si può essere tolleranti. Libertà di pensiero non significa libertà di errare e spropositare.

Antonio Gramsci – 8 dicembre 1917
Bolle

Bolle

Amsterdam, 06/02/2014

Anche se con un po’ di ritardo, buon 2014 🙂
Impegni di altra natura mi hanno tenuto lontano dalla scrittura per oltre un mese, ma vediamo di rimetterci subito in carreggiata.
Leggevo questa mattina su Huffington Post [1] riguardo l’ormai lunga vicenda antistrust Google, e subito mi è tornato in mente che uno degli argomenti che, sin dall’inizio, pensavo di trattare qui è quello della filter bubble.
Ma andiamo con ordine.
Prima di tutto un disclaimer: pur avendo citato l’articolo che ho appena citato, non ne condivido i toni e provo un po’ di ribrezzo per la parola “Casaleggio” presente nell’articolo.
Comunque, dato che era sulla homepage di Repubblica questa mattina, e dato che mi ha fatto venire in mente di scrivere, ho finito per citarlo lo stesso.
Partiamo dal caso in questione e cominciamo un’analisi obiettiva del fenomeno Google.
Google è una società privata, che gestisce un servizio privato.
Il suo servizio principale è il ben noto motore di ricerca, che più o meno tutti usano da oltre dieci anni; Google fornisce anche diversi altri servizi, ma tutto è cominciato col motore di ricerca, che rimane il core business dell’azienda.
Il motore di ricerca funziona più o meno così: noi gli forniamo una stringa di testo e lui risponde con un elenco di siti web che sono rilevanti per quella stringa.
Come questo avvenga, non è necessario saperlo, basta sapere che ci sono due componenti che contribuiscono a fornire i risultati: la logica di un programma per elaboratore (che termine aulico) per quanto riguarda la lista “normale”, ed il denaro degli inserzionisti per quanto riguarda i “link sponsorizzati”.
In un mondo normale, ogni privato si comporta come meglio crede.
Se noi abbiamo un bel cartellone pubblicitario nel giardino di casa, vogliamo essere liberi di metterci quello che ci pare (o quello per cui ci pagano di più), senza che nessuno si lamenti che non gli diamo lo spazio che merita.
Il cartello è nostro e ci facciamo quello che ci pare.
Giustissimo.
Inoltre, quando tra i passanti si spargerà la voce che sul nostro cartellone pubblicitario non appare mai niente di utile, ma solo le foto in canottiera ed infradito della buonanima di David Hasselhoff [2], nessuno vorrà più pagarci per la pubblicità e quella vecchia volpe di Adam Smith [3] avrà di nuovo vinto.
Ah, mano invisibile, quante avventure, quante avventure.
A questo punto, immagino che il passo successivo sia semplice: tutti in piazza coi forconi a protestare contro questa Europa fatta di tecnocrati che vuole incatenare Google, questo motore di ricerca tanto buono che ci fornisce la posta elettronica gratis ed i video dei gattini!
No, mi dispiace, ma no.
La questione è un tantino più complessa.
Google non è il nostro cartellone pubblicitario da giardino, Google è una azienda con un utile netto annuale da fare invidia al PIL di alcuni stati, Google è il punto di accesso ad Internet di una miriade di persone in tutto il mondo (Cina esclusa).
Google non è esattamente un normale giocatore, è il giocatore, ed è ovvio che un’autorità antitrust che si rispetti intervenga su quella che è chiaramente una posizione dominante.
Mi pare di ricordare che quando la stessa autorità antitrust cercava di imporre a Microsoft di rendere possibile l’utilizzo di un altro browser che non fosse Internet Explorer in Windows, nessuno andasse in giro dicendo “Microsoft è una società privata e fa quello che gli pare”.
Ma ovviamente, Microsoft ci dava le schermate blu, e Google i video di gattini.
Google, non ci vuole bene più o meno di quanto ce ne voglia ogni altra azienda.
Anzi, a pensarci bene forse ci vuole bene in tutt’altro modo, dopotutto noi non siamo i clienti, noi siamo la merce che Google vende agli inserzionisti 🙂
Tutto questo lungo e delirante discorso per dire cosa?
Che anche nel rapporto con i motori di ricerca bisogna essere critici, come lo si deve essere con i social network e con tutto quello che riguarda la rete.
A dirla tutta, magari i risultati che Google fornisce non sono nemmeno i più rilevanti, sono semplicemente quelli che si avvicinano di più al nostro profilo di consumatori di pubblicità.
Mai sentito parlare della filter bubble?
È un concetto interessante, illustrato in maniera divertente su questo sito [4] (sì, in inglese è più carino).
Il sito è quello di un motore di ricerca che si chiama DuckDuckGo [5], che consiglierei a tutti di utilizzare in quanto estremamente potente e rispettoso della privacy, ma il cui supporto alle ricerche in italiano non è ancora dei migliori.
L’autore del più famoso libro sul fenomeno della filter bubble è anche intervenuto in una Ted conference nel 2011, e questo video [6] ha oltre due milioni di visualizzazioni.
Se non l’avete ancora visto, vi consiglio di dargli un’occhiata.
Detto questo vi lascio e torno nella mia caverna a ripetere il sacro mantra “se non stai pagando per qualcosa, non sei il cliente, sei il prodotto”.
E certe volte, anche quando paghi, come diceva Scott Gilbertson [7] (anche questo interessante da leggere, e magari il tema del mio prossimo sproloquio).

Pubblicato inizialmente sul blog di “Radio Kaos Italy”

Identità sociale

Identità sociale

Milano, 18/12/2013

Oggi mi trovavo in aeroporto e, come spesso capita, sono stato fermato da una promoter.
Invece delle solite carte di credito, questa volta mi è stata proposta un’assicurazione di viaggio.
Il fatto interessante è che questa assicurazione  offriva, tra i vari servizi, copertura anche in caso di furto d’identità.
La signora ha tenuto a farmi sapere che bastano pochi dati perchè qualcuno riesca ad ottenere il nostro codice fiscale, e con questo magari aprire linee di conto, o accedere ad altri servizi.
Effettivamente, per generare un codice fiscale bastano pochi dati: nome, cognome, sesso e luogo e data di nascita.
Almeno, questo è quello che ricordo.
Ovviamente non tutto è così semplice, per effettuare certe operazioni o accedere a determinati servizi possono servire altri dati oltre all’anagrafica di base ed al codice fiscale, ma questo non significa che il rischio non sia reale, soprattutto considerando che, nella maggioranza dei casi, tutti questi dati sono ottenibili senza fatica su Internet.
Mi sembra un tipico caso di concetti e pensieri che appartengono ad epoche diverse.
Informazioni che una volta erano protette non da complicati sistemi di sicurezza, ma semplicemente dalle ridotte dimensioni della nostra cerchia sociale, adesso sono pubblicamente disponibili in rete, e potenzialmente a disposizione dei mitici “malintenzionati”.
E non finisce con i codici fiscali, tra date di nascita, parentele, squadre di calcio ed animali domestici, indovinare la password di posta elettronica dell’italiano medio non dovrebbe essere poi così difficile.
La questione è: ma perchè mai rendiamo disponibili tutti questi dati?
È davvero così importante pubblicare, ad esempio, la propria data di nascita su Facebook?
La colpa non è solo nostra, ovviamente.
Noi siamo invitati, quasi forzati, a rendere tutte queste informazioni disponibili ai social network, che altrimenti non potrebbero venderci come target pubblicitari se non sapessero tutto di noi, se non potessero profilarci e darci un valore.
Ma la colpa è anche nostra, e dovremmo farci qualche scrupolo in più quando utilizziamo questi mezzi di comunicazione.
Spero di poter tornare in futuro sul tema dei social network, e di come potremmo vivere tutti più felici riprendendo in mano le redini della nostra presenza online.
Per il momento, mi limito ai suggerimenti.
La maggior parte dei social network ci permette di gestire, chi più chi meno, a chi sono accessibili le informazioni che pubblichiamo.
Luogo e data di nascita, sono infomazioni fondamentali per i nostri amici?
Direi di no, anzi, darei per scontato che i nostri amici conoscono già queste informazioni.
Sono allora informazioni essenziali per degli sconosciuti?
Se lo fossero, le renderemmo pubbliche in ogni dove, ma questo non mi sembra il caso.
E allora, perchè le pubblichiamo?
Se possibile, direi di evitare del tutto la loro pubblicazione, altrimenti sarebbe opportuno almeno limitarne la fruibilità a pochi intimi, o magari solo a noi stessi.
Non dico di fasciarsi la testa di carta stagnola, abbattere i satelliti spia della National Baseball League o manifestare contro il signoraggio bancario, dico semplicemente di valutare il livello di rischio delle informazioni che rendiamo disponibili al mondo.
Anche io, che mi piaccia o meno, pubblico delle informazioni in rete, e con un po’ d’impegno potreste anche generare il mio codice fiscale, ma a volte questo “po’ d’impegno” è quanto basta per farvi uscire fuori dal target del truffatore medio, o dello stalker pacioccone.

Alla prossima 🙂

Pubblicato inizialmente sul blog di “Radio Kaos Italy”