Category: Thinking

It’s difficult but i try to

Bolle

Bolle

Amsterdam, 06/02/2014

Anche se con un po’ di ritardo, buon 2014 🙂
Impegni di altra natura mi hanno tenuto lontano dalla scrittura per oltre un mese, ma vediamo di rimetterci subito in carreggiata.
Leggevo questa mattina su Huffington Post [1] riguardo l’ormai lunga vicenda antistrust Google, e subito mi è tornato in mente che uno degli argomenti che, sin dall’inizio, pensavo di trattare qui è quello della filter bubble.
Ma andiamo con ordine.
Prima di tutto un disclaimer: pur avendo citato l’articolo che ho appena citato, non ne condivido i toni e provo un po’ di ribrezzo per la parola “Casaleggio” presente nell’articolo.
Comunque, dato che era sulla homepage di Repubblica questa mattina, e dato che mi ha fatto venire in mente di scrivere, ho finito per citarlo lo stesso.
Partiamo dal caso in questione e cominciamo un’analisi obiettiva del fenomeno Google.
Google è una società privata, che gestisce un servizio privato.
Il suo servizio principale è il ben noto motore di ricerca, che più o meno tutti usano da oltre dieci anni; Google fornisce anche diversi altri servizi, ma tutto è cominciato col motore di ricerca, che rimane il core business dell’azienda.
Il motore di ricerca funziona più o meno così: noi gli forniamo una stringa di testo e lui risponde con un elenco di siti web che sono rilevanti per quella stringa.
Come questo avvenga, non è necessario saperlo, basta sapere che ci sono due componenti che contribuiscono a fornire i risultati: la logica di un programma per elaboratore (che termine aulico) per quanto riguarda la lista “normale”, ed il denaro degli inserzionisti per quanto riguarda i “link sponsorizzati”.
In un mondo normale, ogni privato si comporta come meglio crede.
Se noi abbiamo un bel cartellone pubblicitario nel giardino di casa, vogliamo essere liberi di metterci quello che ci pare (o quello per cui ci pagano di più), senza che nessuno si lamenti che non gli diamo lo spazio che merita.
Il cartello è nostro e ci facciamo quello che ci pare.
Giustissimo.
Inoltre, quando tra i passanti si spargerà la voce che sul nostro cartellone pubblicitario non appare mai niente di utile, ma solo le foto in canottiera ed infradito della buonanima di David Hasselhoff [2], nessuno vorrà più pagarci per la pubblicità e quella vecchia volpe di Adam Smith [3] avrà di nuovo vinto.
Ah, mano invisibile, quante avventure, quante avventure.
A questo punto, immagino che il passo successivo sia semplice: tutti in piazza coi forconi a protestare contro questa Europa fatta di tecnocrati che vuole incatenare Google, questo motore di ricerca tanto buono che ci fornisce la posta elettronica gratis ed i video dei gattini!
No, mi dispiace, ma no.
La questione è un tantino più complessa.
Google non è il nostro cartellone pubblicitario da giardino, Google è una azienda con un utile netto annuale da fare invidia al PIL di alcuni stati, Google è il punto di accesso ad Internet di una miriade di persone in tutto il mondo (Cina esclusa).
Google non è esattamente un normale giocatore, è il giocatore, ed è ovvio che un’autorità antitrust che si rispetti intervenga su quella che è chiaramente una posizione dominante.
Mi pare di ricordare che quando la stessa autorità antitrust cercava di imporre a Microsoft di rendere possibile l’utilizzo di un altro browser che non fosse Internet Explorer in Windows, nessuno andasse in giro dicendo “Microsoft è una società privata e fa quello che gli pare”.
Ma ovviamente, Microsoft ci dava le schermate blu, e Google i video di gattini.
Google, non ci vuole bene più o meno di quanto ce ne voglia ogni altra azienda.
Anzi, a pensarci bene forse ci vuole bene in tutt’altro modo, dopotutto noi non siamo i clienti, noi siamo la merce che Google vende agli inserzionisti 🙂
Tutto questo lungo e delirante discorso per dire cosa?
Che anche nel rapporto con i motori di ricerca bisogna essere critici, come lo si deve essere con i social network e con tutto quello che riguarda la rete.
A dirla tutta, magari i risultati che Google fornisce non sono nemmeno i più rilevanti, sono semplicemente quelli che si avvicinano di più al nostro profilo di consumatori di pubblicità.
Mai sentito parlare della filter bubble?
È un concetto interessante, illustrato in maniera divertente su questo sito [4] (sì, in inglese è più carino).
Il sito è quello di un motore di ricerca che si chiama DuckDuckGo [5], che consiglierei a tutti di utilizzare in quanto estremamente potente e rispettoso della privacy, ma il cui supporto alle ricerche in italiano non è ancora dei migliori.
L’autore del più famoso libro sul fenomeno della filter bubble è anche intervenuto in una Ted conference nel 2011, e questo video [6] ha oltre due milioni di visualizzazioni.
Se non l’avete ancora visto, vi consiglio di dargli un’occhiata.
Detto questo vi lascio e torno nella mia caverna a ripetere il sacro mantra “se non stai pagando per qualcosa, non sei il cliente, sei il prodotto”.
E certe volte, anche quando paghi, come diceva Scott Gilbertson [7] (anche questo interessante da leggere, e magari il tema del mio prossimo sproloquio).

Pubblicato inizialmente sul blog di “Radio Kaos Italy”

Identità sociale

Identità sociale

Milano, 18/12/2013

Oggi mi trovavo in aeroporto e, come spesso capita, sono stato fermato da una promoter.
Invece delle solite carte di credito, questa volta mi è stata proposta un’assicurazione di viaggio.
Il fatto interessante è che questa assicurazione  offriva, tra i vari servizi, copertura anche in caso di furto d’identità.
La signora ha tenuto a farmi sapere che bastano pochi dati perchè qualcuno riesca ad ottenere il nostro codice fiscale, e con questo magari aprire linee di conto, o accedere ad altri servizi.
Effettivamente, per generare un codice fiscale bastano pochi dati: nome, cognome, sesso e luogo e data di nascita.
Almeno, questo è quello che ricordo.
Ovviamente non tutto è così semplice, per effettuare certe operazioni o accedere a determinati servizi possono servire altri dati oltre all’anagrafica di base ed al codice fiscale, ma questo non significa che il rischio non sia reale, soprattutto considerando che, nella maggioranza dei casi, tutti questi dati sono ottenibili senza fatica su Internet.
Mi sembra un tipico caso di concetti e pensieri che appartengono ad epoche diverse.
Informazioni che una volta erano protette non da complicati sistemi di sicurezza, ma semplicemente dalle ridotte dimensioni della nostra cerchia sociale, adesso sono pubblicamente disponibili in rete, e potenzialmente a disposizione dei mitici “malintenzionati”.
E non finisce con i codici fiscali, tra date di nascita, parentele, squadre di calcio ed animali domestici, indovinare la password di posta elettronica dell’italiano medio non dovrebbe essere poi così difficile.
La questione è: ma perchè mai rendiamo disponibili tutti questi dati?
È davvero così importante pubblicare, ad esempio, la propria data di nascita su Facebook?
La colpa non è solo nostra, ovviamente.
Noi siamo invitati, quasi forzati, a rendere tutte queste informazioni disponibili ai social network, che altrimenti non potrebbero venderci come target pubblicitari se non sapessero tutto di noi, se non potessero profilarci e darci un valore.
Ma la colpa è anche nostra, e dovremmo farci qualche scrupolo in più quando utilizziamo questi mezzi di comunicazione.
Spero di poter tornare in futuro sul tema dei social network, e di come potremmo vivere tutti più felici riprendendo in mano le redini della nostra presenza online.
Per il momento, mi limito ai suggerimenti.
La maggior parte dei social network ci permette di gestire, chi più chi meno, a chi sono accessibili le informazioni che pubblichiamo.
Luogo e data di nascita, sono infomazioni fondamentali per i nostri amici?
Direi di no, anzi, darei per scontato che i nostri amici conoscono già queste informazioni.
Sono allora informazioni essenziali per degli sconosciuti?
Se lo fossero, le renderemmo pubbliche in ogni dove, ma questo non mi sembra il caso.
E allora, perchè le pubblichiamo?
Se possibile, direi di evitare del tutto la loro pubblicazione, altrimenti sarebbe opportuno almeno limitarne la fruibilità a pochi intimi, o magari solo a noi stessi.
Non dico di fasciarsi la testa di carta stagnola, abbattere i satelliti spia della National Baseball League o manifestare contro il signoraggio bancario, dico semplicemente di valutare il livello di rischio delle informazioni che rendiamo disponibili al mondo.
Anche io, che mi piaccia o meno, pubblico delle informazioni in rete, e con un po’ d’impegno potreste anche generare il mio codice fiscale, ma a volte questo “po’ d’impegno” è quanto basta per farvi uscire fuori dal target del truffatore medio, o dello stalker pacioccone.

Alla prossima 🙂

Pubblicato inizialmente sul blog di “Radio Kaos Italy”

Paranoia

Paranoia

Ero indeciso riguardo a cosa mettere sul tavolo al nostro primo appuntamento.
Avevo diverse idee.
Inizialmente, pensavo di presentare alcune idee sui social network che mi balenavano in mente da alcune settimane.
Poi ho pensato che fosse più opportuno parlare un po’ di net neutrality, o di quella che gli ammerregani chiamano la “filter bubble”.
Su tutto questo poi, aleggiava lo spettro di Edward Snowden, con le ultime rivelazioni che oggi hanno portato l’Indonesia a richiamare il proprio ambasciatore in Australia [1].
Sì, ad un certo punto ho deciso che quello di cui volevo parlare al nostro primo appuntamento sono il controllo, la paranoia, Internet.
Così, mi sono ricordato di punto in bianco che prima di compiere vent’anni, insieme all’amico RageMan, scrissi questo rant paranoico [2] nel tipico stile complottista di chi si nutriva di anarchist cookbook e X-Files.
A rileggerlo oggi, ad 11 anni dalla scrittura e pubblicazione, un po’ mi vergogno perchè effettivamente ha uno stile degno di Anonymous, ma d’altro canto lo trovo abbastanza attuale, e non mi sarei stupito se lo avesse scritto un adolescente di oggi.
Sono tornato a ripensare a questo perchè, vedendo le news su Al Jazeera ad ora di cena, ho sentito che David Cameron aveva convocato a Downing Street dei portavoce di Google e Microsoft per parlare di blocco di scambio e trasmissione di materiale pedopornografico [3].
Nel frattempo veniva fuori che filtrare i risultati di uno, o più, motori di ricerca non colpisce lo scambio che avviene nelle reti peer-to-peer, o in quello che ad alcuni piace chiamare la “Dark Internet”.
Non c’è niente di rivoluzionario o positivo nell’abuso di minorenni, maggiorenni, o in generale nell’abusare di altre persone.
Ma quando a parlare è David Cameron, un po’ mi viene da pensare se ci sia veramente buona fede dietro tutto questo, o se sia solo una ulteriore mossa per ampliare il livello di censura nel Regno Unito.
Ultimamente le notizie che arrivano da oltre il canale non sono rosee.
Prevalga l’Inghilterra!
Proprio per questo sono andato a rileggermi quanto avevo scritto da giovane, perchè la paranoia è un pericolo disturbo della mente, ma un po’ di sana paranoia non fa mai male.
Una delle ultime rivelazioni del Washington Post [4] ha portato alla luce che la National Security Agency (NSA) non solo ha raccolto i metadati delle conversazioni telefoniche di cittadini americani ed europei, intercettato aziende e politici di vari paesi, compiuto attacchi informatici di diverso tipo ai danni delle più grandi Internet company, ma è anche interessata ai nostri contatti.
Magari non ai miei, od ai tuoi, ma questo chi può dirlo?
Durante lo scandalo Datagate è venuto alla luce come fosse facile, anche per personale esterno, accedere ad ogni tipo di dato.
C’erano dipendenti che usavano le strutture della NSA per spiare le proprie ex, quindi non barrichiamoci dietro la facile suppenenza del “tanto non ho niente da nascondere, io”.
Dall’articolo comunque si nota quanto bassi siano i dati raccolti da Gmail, e pare che questo sia dovuto al fatto che Google abilita in automatico il protocollo cifrato https per la comunicazione tra voi e la vostra webmail.
Il consiglio potrebbe essere, a questo punto, siate paranoici e utilizzate la crittografia quando possibile.
Se utilizzate Firefox o Chrome, gettate un occhio a questo plugin [5] sviluppato dall Electronic Frontier Foundation (EFF).
Prima di lasciarvi, e non volendo lasciarvi con l’idea di stare leggendo lo scritto di un fanatico complottista, vi consiglio la lettura di questa riflessione [6] dell’amico lopoc, che con semplicità e riferimenti storici si pone la domanda: può essere tutto pubblico?
Alla prossima.
Forse.

Prevalga l’Inghilterra!

Pubblicato inizialmente sul blog di “Radio Kaos Italy”

Giornalisti

Giornalisti

Diventare vecchio peggiora il mio carattere. Se contiamo che la base di partenza non è neanche buona di suo, bhe, avete capito.

Ho letto con piacere qualche tempo fa un articolo del New Yorker dal titolo “Paul Haggis vs. the Church of Scientology“. L’articolo è molto interessante, lungo ma interessante. Lettura consigliata. Non voglio dire niente su Scientology, disprezzo già abbastanza le religioni tradizionali e le sette moderne penso di disprezzarle anche maggiormente, ma adoro lo stile dell’autore Lawrence Wright, che incalza i suoi interlocutori e fa una cosa che forse nessun giornalista di questo paese è capace di fare: verifica le fonti.

Ron Hubbard è guarito da solo da ferite di guerra, solo con l’uso della mente ? È stato congedato con medaglia ed onori ? Si è laureato in ingegneria ? Questo è quanto dicono i dianetici. Portano anche documenti a loro conferma. Cosa fa il giornalista serio ? Controlla, chiama gli archivi e gli uffici interessati e scopre tutte le falsità del caso.

Semplice. Mio dio quanto è semplice. Talmente semplice che nessuno sembra più in grado di farlo. Quante volte basterebbe cercare nel passato ed essere persone serie e professionali per smascherare gli orrori di questo mondo. E invece ognuno in TV può dire una cosa, e il giorno dopo dire il contrario, e tutto quello che a noi rimane è l’ultimo brandello di parziale informazione.

Sì, la mia conclusione è semplice e banale: odio tutti voi che mentite ed odio tutti voi che non fate niente per fermare tutto questo. Alla fine odio anche me per questo stesso motivo.

Pagheremo caro, pagheremo tutto.

Il mio amico Berlusconi

Il mio amico Berlusconi

Evito, solitamente, di parlare di fatti contingenti. Preferisco parlare di cose futili, tipo le cose che mi capitano in viaggio. Il problema è che in questa nazione si fa tanto parlare del “caso Ruby” che magari è bene che ne parli anche io. Dopotutto in TV è pieno di eminenti cretini che parlano di tutto, non capiso perchè non debba parlare di tutto anche io sul mio sito web.

Prima di tutto, per essere chiari dal principio, io disprezzo Silvio Berlusconi, non perchè sia estremamente più a destra di me, ma perchè penso che non sia adatto a governare. Posso rispettare persone brave e preparate con una visione diversa del mondo, a cui contrappormi parlando, ma non uno che non può rispondere nel merito alle domande.

Dopo la premessa, a me di quello che succede a casa di Silvio non interessa assolutamente niente. Ovviamente se sono stati commessi dei reati questi vanno accertati e puniti, perchè è così che funziona negli stati civili. Ma per il resto, l’unica cosa che non apprezzo della vicenda sono la poca onestà intellettuale delle persone coinvolte e il non volersi prendere le proprie responsabilità.

Ognuno è libero di fare quello che vuole, ma non di sottrarsi alle conseguenze delle proprie azioni. Solo le persone di poco valore si sottraggono alle proprie responsabilità. E per quanto riguarda la poca onestà intellettuale, ma come si può credere ad una persona che va regolarmente “a puttane” e che poi è contro la prostituzione. A persone che fanno uso di droga e che poi fanno leggi per punirne l’uso per i comuni mortali. Così è troppo facile, ognuno deve predicare quello che poi è disposto ad accettare per se stesso.

Cosa voglio dire ? Che, da ben prima di andare in Olanda, non ho niente in contrario con prostitute e droghe. Ho visto tante prostitute e tanta droga ad Amsterdam, e non mi dispiace che ci siano, anzi, mi pare molto progressista come cosa. Per questo non capisco perchè persone che, apparentemente, apprezzano queste cose in privato, poi una volta in pubblico assumano tutt’altro atteggiamento. No signori, non ci si comporta in questo modo, siate onesti con noi e con voi stessi. Magari vi guadagnate anche la mia stima in questo modo 🙂

Piccola nota dolente, di costume più che altro. Dal punto di vista della società, sembra che comunque il lavaggio del cervello televisivo abbia operato bene, con i “giovani” che invece di pensare a cosa fare nella vita, ai propri sogni, agli interessi, pensano solo a come diventare “famosi”, come se poi significasse qualcosa. Mi intristiscono un po’ le signorine di questi giorni, perchè le mie amiche hanno dei sogni, studiano, fanno quello che a loro piace nella vita, lottano per affermarsi. Proprio per questo non sono sempre felici, anzi, alle volte sono sicuramente tristi. Però penso che alla fine dei giochi conti di più quello che fanno loro, che non vanno a fare il bunga-bunga e prendere la bustina dei soldi all’uscita.

Signorine del bunga-bunga, ad un certo punto si rischia di ritrovarsi con molto poco, ad un certo punto ci si sveglia a 50 anni e ci si ricorda che a 20 invece che rincorrere i propri sogni si passavano le notti con un vecchio in cambio di soldi. Signorine, un po’ di orgoglio, sono sicuro che la maggior parte di voi potrebbe facilmente fare la differenza in qualche contesto. Basta solo volerlo fortemente. E impegnarsi.