Transhackmeeting

Transhackmeeting

Visioni dal transhackmeeting di Pola scritte a 4 mani con lesion.

Dal 25 al 27 giugno ha avuto luogo nell’ex caserma Karlo Rojc di Pola (Pula per i croati) il TransHackmeeting, un evento ispirato alla cultura dell’hacktivism che ha convogliato, in una struttura un tempo popolata dall’armata rossa, hacktivisti fricchettoni provenienti un po’ da tutta europa per conoscersi, parlarsi e sopratutto condividere le conoscenze.

L’evento nasce dalle esperienze maturate negli ultimi 7 anni dagli hacklab italiani e spagnoli e dai rispettivi momenti d’incontro nazionali delle comunita’ che da questi luoghi, fisici e virtuali, si sono sviluppate; il transhackmeeting e’ una dimostrazione della necessita’ di avere un evento in grado di travalicare i confini nazionali e di mettere a confronto diverse realta’ che vanno dai perdigiorno degli hacklab italiani agli sciamani spagnoli, dagli anarcogeek francesi agli straight-edge del nord europa fino agli splendidi padroni di casa croati.

Hanno sicuramente caratterizzato l’evento l’enorme quantita’ di cemento della struttura, il mare respirabile con chiazze di mucillagine, gli autoctoni punk in grado di suonare tutto il giorno e tutta la notte, il simpatico cibo vegano, la strana sostanza rossa e liquida nei bicchieri, la musica revival/trash che strisciava nei sotterranei e due meravigliosi gattini, subito ribattezzati “uno” e “zero”, che si sono fatti coccolare di volta in volta dall’acaro di turno.

I sotterranei di cui sopra, i corridoi, le scalinate, le pareti e tutti gli spazi potenzialmente “verniciabili” sono stati invasi, durante il meeting, da piccoli esserini, comunemente noti come formiche, grazie all’opera di ignoti pittori che con maschere di cartone e bombolette di vernice spray fendevano la notte del rojc.

La solita funzionale autoorganizazione ha portato ad un fitto scambio culturale sia attraverso le frequenti discussioni spontanee all’interno e all’esterno della struttura e sia attraverso i numerosi e partecipati workshop; questi ultimi hanno spaziato dalle recenti normative europee riguardanti la proprieta’ intellettuale alla situazione delle realta’ internazionali coinvolte nell’evento, passando per software di video editing, sviluppo di reti non censurabili e tanto altro.
Un’atmosfera apparentemente domenicale e rilassata nascondeva invece pericolose e sovversive discussioni su tematiche che andavano dagli spazi quadridimensionali alla creazione di linguaggi naturali con una ridondanza lessicale e grammaticale minima.

In chiusura non possiamo non segnalare, a conferma che le sensazioni laciate sulla pelle da un evento del genere sono piu’ forti di quanto la ragione non possa spiegare, le magliette dei pisani su cui campeggiava la mitica frase “share your body”, la pasta che i parmigiani cucinavano in un non meglio precisato punto del parcheggio, la numerosa e minorenne popolazione femminile, il camper di servus.at ricoperto di pinguini e punti viola e un murales degli “skinhead reggae”, naturalmente su sfondo verde/giallo/rosso.

isazi & lesion

4 Luglio 2003

4 Luglio 2003

Partire da se, voler gestire la propria vita e se stessi, essere fondamentalmente hacker.
Sì, voler essere gli unici padroni di se stessi, voler conoscere come funzionano le cose, è sicuramente un comportamento da hacker, ma probabilmente è molto di più, stavo pensando alla questione di genere e a come mi ci sono imbattuto per caso in questi giorni.
Un’amica faceva parte dell’organizzazione della presentazione di una rivista sul “divenire donna della politica” che si è svolta a roma venerdì 4 luglio 2003.
Sono andato, sinceramente posso dire di esserci andato più perchè c’era lei che perchè fossi interessato alla cosa, e anche dopo la presentazione sono rimasto piuttosto scettico su un sacco di cose, naturalmente in ogni cosa ci sono sviluppi in qualche modo interessanti ma sinceramente essendo un uomo avevo una relativa paura, forse più genetica che altro, di quello che si chiama femminismo.
Lo sò, può sembrare ridicolo, ma penso che sia una cosa persino comune tra gli uomini.
Penso che su tutto regni un alone di mistero, no, non mi sento naturalmente in grado di risolvere questa cosa, ma parlando con la stessa amica ho capito delle cose molto importanti, almeno per me, che mi hanno fatto cadere questa paura, che penso fosse essenzialmente paura di un “separatismo” sessuale che non comprendevo, paura quindi molto personale di perdere persone a cui tengo molto.
Forse è solo una questione di linguaggio, o di non sapersi spiegare, ma parlare come uomini o donne o anche come altre sessualità non biologicamente predeterminate è una delle parti che ci costituiscono come soggettività, io sono io dall’inizio alla fine, durante la creazione della realtà, e il genere è parte di me.
E’ banale e anche molto, ma è da qui che stò partendo.
Il genere non è il fondamento dell’essere umano, ma è una componente probabilmente imprescindibile, come poi ogni altro fattore genetico, come ogni frammento della vita personale di ognuno, e quindi non può essere evitato così, semplicemente perchè la società è stata quasi sempre nella nostra storia una società dominata dai maschi.
Non rinnego il mio essere maschio, anzi, forse lo stò capendo meglio proprio in questo modo.
E qui però che il discorso si fa più interessante.
Mitologie di guerra, cosa hanno a che fare con questo discorso ?
Adesso stà tutto diventando parte della speculazione semplice semplice che faccio in questi casi 🙂
Rivoluzione, è quello che voglio da tanto tempo, ma il termine rivoluzione ricorda troppo guerre e sangue, cose che, aldilà dell’animale che ogni tanto riesce a pulsare anche dentro le mie vene, non amo particolarmente, eppure qualcosa ho sempre pensato che si debba fare.
La mia idea è da tempo la rivoluzione antropologica, fatta non solo attraverso l’essere umano ma di dentro ad esso, una rivoluzione che sicuramente deve passare attraverso tutto e tutti per essere funzionante.
La cosa più importante per me rimane la soggettività, l’unico motore della realtà, ma la soggettività è schiacciata da un sistema di controllo dalla forza terrificante che mostra raramente breccie.
Per il rafforzamento della soggettività è importante, se non fondamentale, partire da se, ma farlo realmente e non solo retoricamente, e questo forse è un debito che avrò sempre con il pensiero femminista con cui sono entrato in contatto.
Ma scusate, non abbiamo sempre detto che il controllo, pur se differenziato e molecolare per poter essere efficace, ha nel linguaggio una delle armi più potenti proprio perchè il linguaggio permette di plasmare le idee ?
E le donne non sono forse uno dei soggetti che la società tenta di indebolire di più attraverso proprio il linguaggio ?
Il maschile come genere nobile, ma se fosse così semplice allora basterebbe davvero mettere degli asterischi in fine delle parole per fare una rivoluzione (e con questo non dico che il maschile nobile non sia un problema).
Perchè un uomo è stronzo mentre una donna è puttana ?
Questa è pure una questione di linguaggio, l’insulto che rivolgiamo alla donna senza un gran peso e una gran riflessione è piuttosto strano, perchè non stronza o idiota, perchè proprio “puttana” ?
Naturalmente in questo modo contribuiamo a creare un certo tipo di realtà e non un’altra, coscientemente o meno.
E il discorso è persino troppo facile, o sembra esserlo.
Sempre immettiamo nel linguaggio di genere uno schiacciamento sessuale della donna, e per renderci conto di quello che stiamo facendo sarebbe meglio porsi la domanda se è la realtà a creare il linguaggio o piuttosto il contrario.
Oppure la risposta è in un rapporto circolare tra realtà e linguaggio.
Impegnare se stessi nella creazione di libertà è una bella cosa, al momento è quello che considero una strada, ma realmente che cosa significa ?
Sinceramente non mi è possibile darmi una risposta, credo che ci sia bisogno di mettere in comunicazione le più diverse esperienze, ma non credo basti.
Finchè rimane attivo un sistema di controllo a livello soggettivo, effettuato sia dai controllori sistemici che da quelli pilotati (tra cui noi stessi e gli altri), è difficile potersi dedicare alla creazione attiva di realtà, perchè naturalmente se ci si potesse ad un tratto sottrarre dal controllo ed esserne esenti allora dei soggetti potrebbero creare una comunità e una realtà dove questi problemi sarebbero superati.
Con questo non stò dicendo che il controllo non sia abbattibile, stò semplicemente dicendo che non mi sento di proporre soluzioni al dilemma (forse più mio che altro, ma naturalmente sono io che stò scrivendo adesso).
Qui mi vengono dei dubbi, impegnarsi comunque anche all’interno del controllo oppure prendere atto di una impossibilità di azione libera.
Direi che io stò prendendo atto dell’impossibilità di una libera azione, ma non in senso di abbandono.
Ecco, direi che il momento è proprio adatto, voglio prendere atto dell’impossibilità alla libera azione (e quindi al libero pensiero) come un samurai prende atto della morte e su di essa medita.
E’ un samurai morto solo perchè medita sulla morte e prende atto di essa come inevitabile ?
Penso proprio di no.
E allo stesso modo il mio prendere atto e meditare su questa cosa non mi porta per natura ad esserne parte (non sò se mi sono spiegato, forse l’esempio del samurai rende molto meglio).
Una rivoluzione è un atto creativo e di taglio, non può naturalmente svilupparsi all’interno di qualcos’altro, anche se un’incubazione è necessaria.
Impegnarsi per vivere meglio una realtà non può cambiare la realtà stessa, perchè se si gioca su un campo, per quanto si giochi bene, è su quel campo che si stà giocando e non lo si può cambiare con il gioco.
Anche qui prendersi troppo sul serio può far male, anche se uscire dal labirinto del prendersi o meno sul serio non mi sembra un’ipotesi praticabile.
Altro giro, altra corsa, i piccoli passi o il grande salto ?
Certo che assimilare un discorso ad un altro è una mossa molto poco furba, perchè concluso uno si concludono tutti.
Penso che analizzare la realtà per quello che è, cioè per il suo essere combinazione di altre realtà, sia una buona cosa e insegni anche, in un qualche modo, che ci sono alleati nei posti più impensabili, proprio come in quegli stessi luoghi possono esserci (e ci sono) nemici.
Andare oltre (ma senza lasciarsi qualcosa alle spalle), questo è quanto.

Linux CryptoAPI

Linux CryptoAPI

Semplice guida all’utilizzo di filesystem cifrati.

Prima di tutto ammetto le mie colpe, questo semplice testo non ha nessuna ambizione teorica, e’ composto semplicemente da una serie di appunti su cose apprese in rete compilata perche’ potesse risultare d’aiuto a chi avesse voluto realizzare una partizione cifrata con GNU/Linux senza doversi sbattere troppo.

Non era infatti un pilastro dell’etica hacker fare in modo che non si dovesse ogni volta reinventare la ruota ? 🙂

[ Perche’ ? ]

Perche’ utilizzare una partizione cifrata ?
Perche’ farsi questa domanda ?
Sono cose a cui non sono io a dover rispondere.
Quando ho scelto di avere una partizione cifrata avevo semplicemente intenzione di custodire i dati degli utenti dentro la “home” in maniera piu’ sicura.
Ognuno degli interessati avra’ sicuramente il suo buon motivo.

[ Kernel ]

Cominciamo col dire che in base ad alcuni accordi internazionali la crittografia pesante e’ considerata una pericolosa arma, uno strumento
prettamente militare, e quindi ci sono stati che ne proibiscono l’esportazione.
Per questi motivi il supporto crittografico non e’ integrato nel kernel ma bisogna installare una patch non ufficiale, rintracciabile attraverso
il sito www.kerneli.org.
Inizialmente questa era denominata patch di internazionalizzazione del kernel, ma adesso, anche se il nome del file e’ ancora lo stesso, il
progetto ha preso il nome di “GNU/Linux CryptoAPI Project”.
Sul mio computer e con il kernel 2.4.20 senza modifiche, ho dovuto applicare in sequenza queste 2 patch:

[tritticho][/usr/src/linux]# patch -p1 < patch-int-2.4.20.1
[tritticho][/usr/src/linux]# patch -p1 < loop-jari-2.4.20.0.patch

La prima e’ per il supporto delle cryptoapi e dei cifrari, la seconda una patch per i loopback device che permette di non dover attivare degli hack non troppo stabili per far funzionare il tutto.
Patchato il kernel si deve far partire il tool di configurazione dello stesso, che sia a linea di comando o con interfaccie varie non cambia molto, e abilitare alcune cose:

Block devices —>
< *> Loopback device support

Cryptography support (CryptoAPI) —>
< *> CryptoAPI support
[*] Cipher Algorithms
< *> AES (aka Rijndael) cipher
[*] Crypto Devices
< *> Loop Crypto support

Naturalmente questa e’ la scelta che io ho adottato, gli algoritmi di cifratura supportati sono molti e sta’ a voi scegliere quello che preferite.
Da notare l’assenza di moduli (sempre una scelta personale) fatta per avere la crittografia subito al boot e il supporto per i loop device che poi spieghero’ meglio.
Diamo una bella ricompilata al kernel e torniamo alla luce con la nostra nuova creatura.

[ E adesso ? ]

Spiego un attimo perche’ abbiamo inserito il supporto per i loop device…
Astrazione!
Si’, e’ come se applicassimo un filtro tra il device fisico e la rappresentazione che ne abbiamo dentro la struttura del filesystem.
Sarebbe risultato sicuramente piu’ complesso modificare i driver di tutti i device e dei filesystem per inserire le funzionalita’ di cifratura e
decifratura, e dove non piu’ complesso sicuramente noioso 🙂
Semplicemente quello che facciamo e’ questo: montiamo la partizione che ci interessa su un loop device e questo in una directory del filesystem in modo che tutti i comandi del kernel passino attraverso il nostro loop device che avra’ il supporto crittografico e si occupera’ di cifrare e decifrare le informazioni in transito.
Oltre ai nostri dati saranno infatti cifrate anche le informazioni relative al filesystem stesso; inoltre grazie ai loop device abbiamo la possibilita’ di creare dei filesystem cifrati “virtuali” dove immagazzinare informazioni o creare immagini cifrate per da scrivere su cd, floppy, penne usb et similia.

Cominciamo creando un piccolo file pieno di “immondizia” 🙂

[tritticho][~]#dd if=/dev/urandom of=prova bs=1M count=20
20+0 records in
20+0 records out
[tritticho][~]#

Abbiamo utilizzato /dev/urandom come consigliato anche sulla documentazione ufficiale solo per avere un margine maggiore di PARANOIA 😉
Adesso associamo uno dei nostri loop device (scegliamo loop0) al file che abbiamo appena creato:

[tritticho][~]# losetup /dev/loop0 prova -e aes
Available keysizes (bits): 128 192 256
Keysize: 128
Password :
[tritticho][~]#

Diamo una formattata al tutto…

[tritticho][~]# mke2fs /dev/loop0
mke2fs 1.27 (8-Mar-2002)
Filesystem label=
OS type: Linux
Block size=1024 (log=0)
Fragment size=1024 (log=0)
5136 inodes, 20480 blocks
1024 blocks (5.00%) reserved for the super user
First data block=1
3 block groups
8192 blocks per group, 8192 fragments per group
1712 inodes per group
Superblock backups stored on blocks:
8193

Writing inode tables: done
Writing superblocks and filesystem accounting information: done

This filesystem will be automatically checked every 21 mounts or
180 days, whichever comes first. Use tune2fs -c or -i to override.
[tritticho][~]#

Fatto, montiamo il file “prova” che abbiamo creato e siamo a cavallo 🙂

[tritticho][~]# mount -o loop /dev/loop0 /mnt/ -t ext2
[tritticho][~]# cd /mnt/
[tritticho][/mnt]# ls
. .. lost+found
[tritticho][~]#

Possiamo utilizzare il file come un qualsiasi device, una volta smontato il contenuto non sara’ accessibile a chi non conosce la passphrase che abbiamo fornito al primo losetup.
Per rimontare il file una volta smontato:

[tritticho][~]# mount -o loop,encryption=aes prova /mnt/ -t ext2

[ Device fisici ]

E se invece di un device immaginario come un file volessimo cifrare un’intera partizione, ad esempio /home ?
Il procedimento e’ lo stesso, basta sostituire una partizione, ad esempio /dev/hda4, dove prima scrivevamo “prova”.
Se poi vogliamo che la partizione venga montata all’avvio dovremo fornire la passphrase, altrimenti il boot andra’ lo stesso a buon fine ma gli utenti non avranno una casa 🙂
Aggiungiamo dentro /etc/fstab una riga:

/dev/hda4 /home ext3 defaults,loop,encryption=aes 0 2

Naturalmente una volta smontata la /home solo root potra’ rimontarla.
E se volessimo scrivere una traccia cifrata su un cd ?
Il procedimento e’ semplice, creiamo il nostro file con riempiendolo con /dev/urandom (naturalmente senza andare oltre la capacita’ di un cd), usiamo losetup come precedentemente indicato, al momento della formattazione passiamo un’opzione ulteriore, cioe’:

mke2fs /dev/loopX -b 2048

La X e’ il numero del loop device associato naturalmente 🙂

[ Conclusioni ]

Bhe, che dire ?
Naturalmente niente.
E’ questo il momento di sperimentare, non di parlare 🙂

Piccolo manuale per la conquista del mondo

Piccolo manuale per la conquista del mondo

PRIMO CAPITOLO DEL MANUALE

Le persone hanno bisogno di amare ed essere amate.
Cosi’ puo’ degnamente cominciare un buon manuale per la conquista del mondo.

Il solito caso di sindrome cronica di incomunicabilita’ tra esseri umani.
Ti amo.
Mi amo.
Soprattutto, ti voglio bene.
Lasciamo che ci sia una porta aperta per catturare le emozioni del mondo.
Non tutti riescono a dire quello che vorrebbero sentirsi dire, anche se lo vorrebbero.
E’ davvero difficile.
Ci sono immensi campi di fragole nascosti nei boschi.
Strawberry fields, nothing is real.

Quando ci chiedono a cosa stiamo pensando la maggior parte delle volte rispondiamo “a niente”.
Pare impossibile.
Pare che invece sia possibile.
Un primo linguaggio privo parole, sensazioni comunicabili direttamente a se stessi senza bisogno di filtri interpretativi.
Pero’ non possiamo dire questo agli altri, questo linguaggio non permette la comunicazione, almeno non a questo livello evolutivo.
Le parole sono gli strumenti che usiamo per pensare.
Ci sono lingue piu’ adatte al commercio, alla tecnica, altre piu’ adatte alla poesia, alla filosofia, alla riflessione.
E’ davvero un peccato che i vocabolari completi, quelli composti da volumi e volumi, siano cosi’ poco diffusi, anche avendo a disposizione supporti di memorizzazione digitali con enormi capacita’.
I vocabolari e i dizionari sono sempre piu’ piccoli, micro, e mentre il linguaggio si restringe, anche il pensiero viene ristretto.
Diventa difficile pensare quando non si hanno gli strumenti per farlo.
Diventa difficile comunicare quando non si ha un canale adatto.
Ci sono pensieri che mai si potranno comunicare, ci sono cose che mai potro’ dire.

Cosa avra’ mai a che fare l’amore con tutto questo casino, perche’ gli esseri umani non riescono a dirsi certe cose ?
Credevo di pensare a certe cose, e mi sono ritrovato a pensare tutt’altro.

Una vera strategia di controllo prevede dei paradossi matematici difficilmente risolubili.
Ogni uomo avrebbe bisogno di una guardia dietro le spalle, ogni guardia di un’altra guardia, anche questa di un’altra guardia, all’infinito, solo per essere sicuri che il controllo sia reale.
Ma ci sono sentieri piu’ semplici da battere.
E sicuramente ognuno trovera’ una strada personale ancora migliore per il controllo, alla fine il controllo e’ umano, animale, legato a tantissime cose.
Questa e’ la strada che ho scelto, costellata di semplificazioni e paradossi.
Per prima cosa ho bisogno di sapere cosa stanno facendo gli altri, cosa stanno pensando, cosa stanno desiderando.
Gli esseri umani sono difficili da trattare, cominciare a controllarli senza conoscerli profondamente e’ una via che porta alla sconfitta.
Almeno cosi’ penso.
Un grande apparato di captazione globale, grandi orecchie e grandi occhi.
Le guardie che tendono all’infinito sono inutili e pericolose, meglio averne di meno ma meglio controllabili, pronte ad agire ogni volta che l’apparato registri qualcosa di interessante.
Visibili o invisibili che importa, tanto nessuno ha interesse in certe cose.

Il mondo intanto si sviluppa secondo la propria volonta’.
Terremoti, maremoti, piante, animali, vulcani.
Non su tutto possiamo intervenire.

Ma il mondo a livello molto fisico non e’ nei nostri piani.
Non nei miei.
Il mondo degli uomini e’ quello che mi interessa controllare.
Un livello un po’ piu’ alto di quello fisico.
Il mio apparato conosce molto piu’ di quello che mi serve per reprimere, conosce le ricette che vengono scambiate, conosce i segreti che vengono confidati, conosce le scoperte, le sensazioni, conosce i progetti, le avventure, conosce il freddo e il calore, gli incontri e gli scontri.
Non tutto, ma conosce tanto, anzi, conosce abbastanza.

Il balletto lo fanno i ballerini, il mondo che mi interessa lo fanno i soggetti che ci vivono.

Come in ogni sistema complesso sto’ riducendo le variabili di cui ho intenzione di occuparmi per rendermi il discorso piu’ agile, per non perdermi nel contrario di tutto.

L’ho gia’ detto, non voglio essere odiato, voglio dispensare amore, anzi, voglio ricevere l’amore del mondo ad ogni livello, in ogni sua stupida rappresentazione.
Non mi importa degli scarti di produzione di questo lavoro.
Se qualcuno ricevera’ davvero amore sara’ un divertente effetto collaterale.

Intanto ho bisogno di un mondo in cui tutti siano separati dagli altri, in cui l’intolleranza sentimentale sia massima, cosi’ come massima dev’essere l’opposta tendenza al produrre legami.
Lo sappiamo che lungo le linee del conflitto, sia esso interno o esterno, si sviluppano tutti i mezzi che ci sono utili.
Dove c’e’ questa tendenza saremo anche noi.
Dopotutto sappiamo gia’ cos’e’ che tutti sanno, riuniamo tutte le informazioni che le cellule impazzite all’interno della societa’ dispongono, vendiamo ad ognuno la sua ambrosia, scegliendo anche il prezzo.

Creiamo davvero la societa’ in questo modo, o ce ne impadroniamo soltanto ?

Potremmo dire che sono due facce della stessa medaglia.
Abbiamo bisogno di appropriarci dell’energia vitale, del pensiero di tutto e tutti, ma abbiamo anche bisogno di creare una realta’ dove una parte della popolazione possa vivere, una realta’ oppiacea ed emozionante, sporca ma allo stesso tempo piena di desideri.

Stiamo semplicemente mettendo assieme tutte le nostre attivita’ di base.

Captiamo.
Controlliamo.
Reprimiamo.
Assorbiamo.
Imprigioniamo.

E tutto all’infinito, per ogni nucleo sociale, in ogni dove applichiamo la nostra ricetta migliore, scegliamo tra quello che sappiamo fare la strada piu’ semplice, come sempre.

PRIMO INTERMEZZO

Non so’ perche’ sto’ dicendo queste cose, forse sono soltanto perso dentro me stesso.
Vorrei semplicemente capire com’e’ che avviene questo controllo, dov’e’ che ha una propria utilita’, perche’ ci si trova in una strada cosi’ stretta, dove sono andate a finire tutte le strategie di liberazione.

Confondere le informazioni che vengono captate.

Non penso sia necessario nascondere le informazioni a tutti, anzi, cosi’ si rischia di rendere piu’ forte il meccanismo prima descritto, la separazione dei corpi rende tutto piu’ facile.

Orde di uomini seduti davanti alle tv.

Bisogna rafforzare la comunicazione, eludendo allo stesso tempo il sistema di captazione.
Bisogna immergersi dentro la realta’ e contribuire alla sua costruzione, attraversare le situazioni quando e’ possibile e anche se fa piuttosto male.
Non so’ se ci sono persone o situazione piu’ o meno controllate, questo mi e’ assolutamente oscuro.
Se la realta’ diventa un prodotto, e’ il momento di produrla, produrla non per ingaggiare una battaglia tra controllori di mondi, ma per creare una realta’ liberata e liberante.

Come si puo’ produrre una realta’ che non sia oppressiva per gli altri ?
Questo e’ un punto che mi sfugge totalmente, ma un modo dev’esserci.
Se controllando qualcuno si puo’ produrre una realta’ diversa, aiutarsi reciprocamente nella ribellione ad una realta’ imposta puo’ diventare un motore di realta’ ugualmente potente, ma questa e’ solo un’ipotesi.

CAPITOLO SECONDO DEL MANUALE

Il controllo e’ molecolare, fluido, non monolitico, si controlla contemporaneamente in tanti modi e si controllano in ogni modo soggetti diversi tra loro.
Ognuno puo’ essere soggetto ad una o piu’ formule di controllo, che si mescolano o si tengono separate a seconda di tanti fattori.

Il grande fratello ti osserva.

E allo stesso tempo sei tu ad osservare il grande fratello.

Mentre lo osservi dietro di te si possono svolgere infinite situazioni.
Spostare l’attenzione su una cosa o su un’altra, oltre a non essere una pratica neutrale, e’ una pratica di controllo molto stretta, perche’ mentre si e’ distratti il controllore puo’ usare meno risorse per tenerti ugualmente sotto stretto controllo.
Ma un semplice elemento di distrazione per una piccola sortita da battaglia non e’ stategia da ventunesimo secolo.
Infatti se puo’ essere utile un elemento di distrazione cosi’ congeniato, il basare una strategia complessa solo su questo non e’ molto produttivo.
La distrazione non deve servire solo a permettere un passaggio al coperto di truppe ma si inserisce perfettamente nel meccanismo di produzione della realta’ controllata a cui prima accennavamo.

SECONDO INTERMEZZO

Viene da se’ che il semplice nascondersi non puo’ permetterci di sfuggire al controllo, la fuga dal controllo passa da qualcos’altro, non e’ neanche la fuga da uno strumento o da chi tecnicamente lo muove, e’ una fuga da un tipo di societa’ creata da noi ma non secondo il nostro volere, e’ una riapproriazione degli strumenti tecnologici e sociali di produzione di senso e realta’.

Propriamente e’ una rivoluzione oltre la paranoia.

Anche se la stessa parola rivoluzione puo’ far sorridere qualcuno.
Allora cambiamo strutturalmente il nostro punto di vista, la nostra e’ una rivoluzione evolutiva nel passaggio non da uno stato ad un altro o da un tipo di potere ad un altro, ma da un uomo ad un altro e quindi da una societa’ ad un’altra.
E non stiamo neanche intendendo un cambiamento che avvenga in un preciso punto dello spazio.

TERZO CAPITOLO DEL MANUALE

L’esterno, l’emergenza, l’esclusione.

Da un certo punto in poi alcuni elementi del controllo divengono noti a tutti ed esistono tecniche di controllo per far accettare altre tecniche di controllo, in pratica delle metatecniche, e anche tra queste una parte puo’ tranquillamente venir svelata mentre una parte deve rimanere segreta.
I classici approcci alla creazione del mostro e del nemico, le azioni che per ottenere certi scopi vengono operate su masse intere e senza difese comuni sono di certo dannatamente reali, ma limitarsi a questa visione significa ridurre di nuovo il controllo ad una pratica monolitica che vuole in relazione di input ed output, da una parte e dall’altra, sempre e solo masse.
Il problema nasce proprio dal fatto che le masse sono composte da singoli che ricevono una dose di controllo troppo bassa per essere del tutto efficace.
Dentro questi soggetti e’ naturalmente presente un apparato di controllo, ma non avendone ricevuta una dose adeguata, da un momento all’altro e a causa di un qualche imprevedibile stimolo il cui controllo costerebbe davvero troppo, questi soggetti possono svincolarsi dalla massa e divenire “out of control”.

Una seria politica di controllo non puo’ lasciarsi cogliere alla sprovvista da questo rischio e percio’ deve aggiungere ad un controllo di tipo piu’ grezzo tutta la serie di procedure, segrete o meno, che servono ad immobilizzare pienamente i soggetti su cui si vuole agire.

Anche qui comunque il problema e’ nella mancanza di comunicazione, di una comunicazione che tutti cercano e di cui nessuno riesce a far buon uso.
Se anche all’interno della massa ci fosse una reale comunicazione come potrebbe avvenire un controllo produttivo ?
E’ una domanda interessante, ma finora non c’e’ stato bisogno di riflettere su questo punto perche’ abbiamo sempre avuto a che fare con una comunicazione creata in laboratorio con menomazioni che le impedissero di svolgere la sua vera funzione, cioe’ riprodurre se stessa per creare comunita’, e quindi una vera comunicazione all’interno della massa umana rimane per noi semplice utopia.