Conferenza provinciale GC

Conferenza provinciale GC

Intervento sulla comunicazione scritto per la conferenza provinciale dei Giovani Comunisti.

Durante l’ultimo congresso di rifondazione mi e’ capitato di leggere sul documento di maggioranza una tesi, la sette, che trattava della rivoluzione informatica, ma non ho trovato niente nel secondo documento.
Ho sperato nei giovani, speravo che almeno l’eta’ anagrafica spingesse chi ha realizzato i documenti a comprendere meglio la struttura del mondo in cui viviamo (Italia anno 2002).
Anche qui il nulla, tranne un quanto mai improbabile accenno ad una crisi di sovrapproduzione della net-economy trovato nel quarto documento, e devo dire che la sovrapproduzione informativa e immateriale, date anche le mie lacune intellettuali, non riesco ancora a metterla a fuoco.
Beninteso, tutto questo eccettuato il primo documento; questo documento infatti ha ben due paragrafi dedicati uno alla riflessione sull’information age, il 12, e uno al mediattivismo, il 24.
Dovete sapere comunque che non mi sono stupito di trovarli perche’ questi paragrafi non sono nati dal nulla, ma dal lavoro costante di un gruppo, quello sulla comunicazione dei GC, che e’ nato nella sua forma attuale durante l’ultima assemblea nazionale a Foligno lo scorso dicembre.
Concluso questo preludio finto polemico, banale scusa per poter nominare questo attivo gruppo di lavoro che vede la partecipazione anche di compagni pescaresi, vorrei brevemente illustrare qualche punto di interesse piu’ generale.
La prima cosa che mi viene da dire e’ che la proprieta’ privata sta’ diventando sempre piu’ forte in questi ultimi tempi, perche’ e’ arrivata ad appropriarsi dell’inappropriabile per eccellenza: del pensiero e dei sentimenti.
Sto’ parlando principalmente di proprieta’ intellettuale certo, ma non solo.
Preciso che non ho le date sballate nel cervello, so’ che la proprieta’ intellettuale e’ nata secoli fa’, diciamo in maniera soft con l’avvento della scrittura e in maniera hard con la stampa e le leggi sul diritto d’autore; tuttavia solo adesso la situazione e’ arrivata al suo apice, adesso nell’era della riproducibilita’, qualcuno, capitale, mercato, chiamiamolo come vogliamo che tanto basta capirsi, ha deciso che nella nostra mente non dimorano piu’ idee ma merci, vendibili o utilizzabili solo dietro pagamento.
Ad esempio, il mio codice genetico e’ ancora totalmente mio ?
Si’, almeno finche’ non risultera’ utile a qualcuno che lo brevettera’ (in pratica quindi brevettera’ anche me dato che io e il mio dna siamo piuttosto complementari) e a quel punto cosa faro’ ?
Semplice, paghero’ per sopravvivere e riprodurmi.
Sembra uno squallido paradosso adesso, ma ricordiamoci che per le piante e’ gia’ cosi’.
Per questo e’ importante mantenere attivo un lavoro di riflessione ed azione sul tema della proprieta’ intellettuale anche tra di noi, e se questo percorso non e’ ancora nato, sara’ ora di farlo nascere.
Dato che mi sto’ dilungando come la bava di una lumaca diro’ solo un’ultima cosa.
C’e’ una grande battaglia in atto riguardo l’accesso al sapere, ed e’ l’attuale battaglia per lo sviluppo della rete.
C’e’ chi vede rete e mondo come grandi supermarket, chi invece li vede come luoghi di scambi non commerciali.
La rete potra’ diventare quindi il mercato globale, o il punto d’incontro tra le comunita’ globalmente interconnesse.
Mi sembra chiaro che noi non si sia per il mercato, quindi anche qui occorrera’ sviluppare strategie, magari disobbedienti, di azione.
Non ho fatto alcuna menzione a soluzioni pratiche, anche perche’ se fossi capace di elaborarne avremmo probabilmente realizzato un altro mondo possibile e non saremmo qui a parlare.
Concludo, e questa volta per davvero, con un piccolo appello che riprende anche il paragrafo sul mediattivismo del documento di maggioranza: nei nostri circoli i computer non dovrebbero contenere software proprietario ma software libero.
E’ un’azione piccola e superficialmente senza implicazioni, ma se non si comincia da qualche parte finiremo con il dover pagare per cio’ che pensiamo, e francamente cio’ non mi rende allegro.

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